L'uomo moderno
Dopo aver frequentato ambienti di ogni "colore" ed aver cercato di capire le ragioni delle posizioni di Centro, di Destra, di Sinistra, nelle varie sfaccettature, sono giunto alla conclusione che ogni pensiero politico-filosofico ha le sue solide fondamenta e convinzioni ben radicate.
In particolare mi preme sottolineare l'argomentazione della "crisi dell'uomo moderno" che propongono spesso e volentieri le persone che abbracciano la filosofia "tradizionalista".
Dopo aver discusso più volte di questi argomenti, sono profondamente convinto di possedere in me e radicato il "senso della tradizione", che nel mondo moderno è completamente frustrato ed in decadenza.
Ciò su cui non sono d'accordo è decantare un senso della tradizione "improprio" a sostegno di posizioni violente, razziste, classiste, "chiuse" al progresso ed al confronto, per intenderci.
Il mio percorso spirituale mi porta a concludere che il senso della tradizione sfocia nel senso di appartenenza alla natura, ed io in fatti mi sento come facente parte di un naturale flusso delle cose, sempre in equilibrio.
Seguo quindi "a pelle" l'istinto che mi porta nella via di mezzo, a metà tra conservazione dei valori "naturali" e tensione verso un progresso simbiotico con l'evolversi della natura e delle cose intorno a me.
Fatta mia quest'ottica, mi sento di dire che hanno ragione gli ambienti di estrema destra a sostenere che l'uomo moderno è una degenerazione di un ideale di uomo (in quanto loro stessi sono l'esempio vivente di tale affermazione) che simbolicamente si può collocare in un "passato" (in quanto a causa del progresso si ha un discostarsi continuo dalla tradizione di riferimento, che non può che collocarsi cronologicamente nel passato); l'uomo moderno infatti nella maggior parte dei casi si discosta dalla inclinazione naturale all'equilibrio non riconoscendo la via di mezzo, e anzi proiettandosi verso due estremi (in linea di massima):
1) falsi miti della tradizione;
2) falsi miti del progresso.
Nel primo caso si riduce ad un nostalgico di epoche che nel suo immaginario sono notevolmente migliori di quella attuale, nel secondo caso guarda con ossessione un progresso distruttivo e violento.
Tradizionalmente parlando credo che siano due posizioni di squilibrio rispetto al "punto di riposo" dell'uomo rispetto alla natura.
In particolare mi preme sottolineare l'argomentazione della "crisi dell'uomo moderno" che propongono spesso e volentieri le persone che abbracciano la filosofia "tradizionalista".
Dopo aver discusso più volte di questi argomenti, sono profondamente convinto di possedere in me e radicato il "senso della tradizione", che nel mondo moderno è completamente frustrato ed in decadenza.
Ciò su cui non sono d'accordo è decantare un senso della tradizione "improprio" a sostegno di posizioni violente, razziste, classiste, "chiuse" al progresso ed al confronto, per intenderci.
Il mio percorso spirituale mi porta a concludere che il senso della tradizione sfocia nel senso di appartenenza alla natura, ed io in fatti mi sento come facente parte di un naturale flusso delle cose, sempre in equilibrio.
Seguo quindi "a pelle" l'istinto che mi porta nella via di mezzo, a metà tra conservazione dei valori "naturali" e tensione verso un progresso simbiotico con l'evolversi della natura e delle cose intorno a me.
Fatta mia quest'ottica, mi sento di dire che hanno ragione gli ambienti di estrema destra a sostenere che l'uomo moderno è una degenerazione di un ideale di uomo (in quanto loro stessi sono l'esempio vivente di tale affermazione) che simbolicamente si può collocare in un "passato" (in quanto a causa del progresso si ha un discostarsi continuo dalla tradizione di riferimento, che non può che collocarsi cronologicamente nel passato); l'uomo moderno infatti nella maggior parte dei casi si discosta dalla inclinazione naturale all'equilibrio non riconoscendo la via di mezzo, e anzi proiettandosi verso due estremi (in linea di massima):
1) falsi miti della tradizione;
2) falsi miti del progresso.
Nel primo caso si riduce ad un nostalgico di epoche che nel suo immaginario sono notevolmente migliori di quella attuale, nel secondo caso guarda con ossessione un progresso distruttivo e violento.
Tradizionalmente parlando credo che siano due posizioni di squilibrio rispetto al "punto di riposo" dell'uomo rispetto alla natura.
3 Comments:
Il tuo ragionamento è già un ragionamento di tipo moderno quando assumi che il progresso sia qualcosa di naturale. L'uomo della Tradizione concepisce il tempo come ciclico. L'uomo della tradizione non è l'uomo del passato, così come l'uomo moderno non è l'uomo del presente e del futuro (si spera...). Tradizionalismo e modernità non sono riferimenti temporali, ma ontologici che per lo più, combaciono storicamente con i periodi storici, in quanto la storia segue ciclicamente periodi dell'oro e periodi di decadenza. Ma può anche non essere così, ci sono periodi antichi storicamente in cui troviamo già atteggiamenti moderni, in quanto la modernità è una categoria dello spirito, così come la Tradizione. Per di più ogni civiltà ha avuto il suo periodo "moderno" di decadenza ovvero di civilization, contrapposta ad autentica Kultur, dove decadono le tradizioni, vengono assunti atteggiamenti di cosmopolitismo e lassismo morale, come ad esempio nel tardo Impero Romano ma analogamente in tutte le civiltà compresa la nostra definita dallo Spengler "civiltà faustiana". Il processo di decadenza è irreversibile e deve esere assunto come prova finale di una civiltà, nel nostro caso dell'Occidente, che deve dare risposta efficace con l'idea superomista e col nuovo cesarismo, oppure accontantarsi come diceva l'Evola della vecchiaia di "cavalcare la tigre".
Accettando l'idea che l'età del "ferro" sia in decadenza, e che i due periodi si muovano come una sinusoide, io sto solo dicendo che in ogni età "ferrosa" c'è un po' di età dell'oro che spinge a favore di un equilibrio che va ripristinato. Non ho mai parlato di ordinamento cronologico se non in termini simbolici, per sottolineare come possa essere facilmente mitizzato il passato in tale ottica.
Il progresso è naturale come lo è la tradizione in quanto TUTTO è in continua mutazione e conservazione allo stesso tempo, e non è un ragionamento di tipo moderno. Per progresso io intendo il senso etimologico del termine, non il fatto che sia uscito un nuovo modello di Toyota o che i pc abbiano processori a 4 GHz.
Quando dici che anche in periodi "aurei" si trovavano atteggiamenti ferrosi, questo è normale, infatti non solo nella natura, ma anche negli aspetti socio-politici le due essenze coesistono, come in tutto l'universo, del resto, ed una spinge contro l'altra; vorrei usare il paragone del pendolo ma potrebbe risultare troppo macchinoso.
Lo sforzo sta nel fatto che tali aspetti devono necessariamente, anche se in modo violento, conciliarsi, e quindi la "qualità" e la "quantità" vanno considerate sullo stesso piano, a mio avviso.
Poi, tutto il blocco in cui associ la parola moderno a decadenza non l'ho capito (per via delle mie lacune filosofiche), e quando Evola dice di cavalcare la Tigre credo stia metaforicamente parlando della Tigre nella simbologia asiatica, simbolo della "quantità", cioè bisogna cercare di domare i tempi.
Sul fatto che i cicli naturali si applichino al modello socio-politico sono d'accordo, e credo (spero) che tale ragionamento non sia viziato dalla modernità (in senso di decadenza).
Etimologicamente "progresso" significa inserirsi in un contesto meglio favorevole.
Io non gioco sui significati, e non identifico nulla con nulla, ma uso solo il vocabolario italiano dando la giusta connotazione alle parole.
In natura si assiste a tante cose: progressi, regressi, sistemi dinamici, sistemi statici.
Non credo nel positivismo, e in generale non credo ad occhi chiusi a nessuna teoria, in particolare a quelle che hanno più di un centinaio d'anni.
Dopo aver risposto alle domande, te ne rivolgo una io: perché dici (in termini assoluti) che il mio ragionamento è di tipo "moderno" solo perché dò accezione neutrale e non negativa alla parola "progresso"?
Che un fenomeno in sè sia buono o cattivo, mi sembra una posizione abbastanza lontana dalla realtà, tantopiù quando si parla di fenomeni non artificiali.
Su ciò che accade ed è indotto, si può esprimere giudizi sull'intenzionalità di chi induce, ma se ciò che accade è legato al caso allora è semplicemente neutrale.
Oppure arriverai al prossimo post a dirmi che il caos e la natura sono positivi o negativi?
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