Estratto da "René Guénon – Scritti sull’esoterismo islamico ed il Taoismo"
L’essere contingente può venire definito come quello che non possiede in se stesso la propria ragione sufficiente; un tale essere, di conseguenza, non è nulla per se stesso, e nulla di ciò che egli è gli appartiene in proprio. Tale è il caso dell’essere umano in quanto individuo, come pure di tutti gli esseri manifestati, in qualsivoglia stato, perché, quale che sia la diversità tra i gradi dell’Esistenza universale, essa è pur sempre nulla rispetto al Principio. Questi esseri, umani e non, sono dunque, in tutto ciò che sono, completamente dipendenti dal Principio, “al di fuori del quale non vi è nulla, assolutamente nulla che esista”; è nella consapevolezza di questa dipendenza che consiste propriamente ciò che varie tradizioni designano come “povertà spirituale”. Allo stesso tempo, per l’ essere giunto a tale consapevolezza, questa ha per conseguenza immediata il distacco da tutte le cose manifestate, perché oramai egli sa che anche tali cose non sono nulla, che la loro importanza è rigorosamente nulla rispetto alla Realtà assoluta. Questo distacco, nel caso dell’essere umano, implica essenzialmente e prima di tutto l’indifferenza riguardo ai frutti dell’azione, quale è insegnata in special modo nella ‘Bhagavad-Gita’, indifferenza per cui il tramite dell’essere sfugge alla concatenazione indefinita delle conseguenze di questa azione: è l’ “azione senza desiderio”, mentre l’ “azione con desiderio” è l’azione compiuta in vista dei suoi frutti. Per quella via l’essere esce dunque dalla molteplicità, e sfugge, secondo le espressioni usate dalla dottrina taoista, alle vicissitudini della “corrente delle forme”, all’alternanza degli stati di “vita” e di “morte”, di “condensazione” e “dissipazione”, passando dalla circonferenza della “ruota cosmica” al suo centro, che è descritto a sua volta come “il vuoto (il non-manifestato) che unisce i raggi e ne ne fa una ruota”. “Chi è giunto al massimo del vuoto – dice ancora Lao-tseu – sarà saldamente stabilito nella quiete.. ritornare alla propria radice (cioè al Principio che è origine prima ed insieme fine ultimo di tutti gli esseri) vuol dire entrare nello stato di quiete.”
“La pace nel vuoto è uno stato indefinibile; non la si riceve né la si dona; si arriva a stabilirvisi.” Questa “pace nel vuoto” è la “grande pace” nell’esoterismo musulmano (es-Sakinah), che è allo stesso tempo la “presenza divina” al centro dell’essere presupposta dall’unione con il Principio, la quale solo in quel centro può effettivamente operarsi.
“A colui che ha dimora nel non-manifesto, tutti gli esseri si manifestano.. Unito al Principio, attraverso esso egli è in armonia con tutti gli esseri. Unito al Principio, egli conosce ogni cosa attraverso le ragioni generali superiori, e di conseguenza non si serve più dei suoi diversi sensi per conoscere in particolare e nei dettagli. La vera ragione delle cose è invisibile, inafferrabile, indefinibile, indeterminabile. Solo lo spirito ristabilito nello stato di semplicità perfetta può afferrarla nello stato di contemplazione profonda.”
La “semplicità”, espressione dell’unificazione di tutte le potenze dell’essere, caratterizza il ritorno allo “stato primordiale”; e si misura qui tutta la distanza che separa la conoscenza trascendente del saggio dal sapere ordinario e “profano”. Questa “semplicità” è anche designata altrove come lo stato di “infanzia”, inteso naturalmente in senso spirituale, nella dottrina indù, è considerato come condizione preliminare all’acquisizione del sapere per eccellenza. Ciò ricorda le analoghe parole contenute nel Vangelo: “Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non vi entrerà.” (Luca, 18-17) – e ancora – “Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli avveduti, e le hai rivelate ai semplici e ai piccini”. (Matteo, 11-25)
“Semplicità” è “piccolezza” sono qui, in fondo, equivalenti della “povertà”, di cui si parla tanto spesso anche nel Vangelo e che viene generalmente assai mal compresa: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli” Questa ‘povertà’ (in arabo El-Faqr) conduce, secondo l’esoterismo musulmano, a ‘El-Fana’, cioè all ‘estinzione dell’io’; per mezzo di questa ‘estinzione’, si perviene alla ‘stazione divina’ (el-maqam el-ilahi), che è il punto centrale dove tutte le opposizioni sono cancellate e risolte in un equilibrio perfetto. “nello stato primordiale, queste opposizioni non esistevano. Sono tutte derivate dalla diversificazione degli esseri (inerente alla manifestazione e come quella contingente), e dai loro contatti causati dalla girazione universale (cioè della rotazione della ruota cosmica attorno al suo asse). Esse di colpo cesasno d’influenzare l’essere che ha ridotto il suo io distinto e il suo movimento particolare a quasi nulla.” Questa riduzione dell’io distinto, il quale infine scompare riassorbendosi in un unico punto, coincide con ‘el-fana’, come pure con il ‘vuoto’ di cui dicevamo sopra; è del resto evidente che, in base al simbolismo della ruota, il ‘movimento’ di un essere è tanto più ridotto quanto più tale essere si va avvicinando al punto centrale. [..]
Questo punto centrale, attraverso cui si stabilisce, per l’essere umano, la comunicazione con gli stati superiori o ‘celesti’, è anche la ‘porta stretta’ (o cruna dell’ago) del simbolismo evangelico, e si può allora comprendere che siano i ‘ricchi’ che non possono attraversarla: sono gli esseri che si attaccano alla molteplicità, pertanto incapaci di elevarsi dalla conoscenza distintiva alla conoscenza unificata. Tale attaccamento è infatti l’esatto opposto di quel distacco di cui si diceva dianzi, come la ricchezzza è l’opposto della povertà, e incatena l’essere alla serie indefinita dei cicli di manifestazione. L’attaccamento alla molteplicità è anche, in un certo qual modo, la ‘tentazione’ biblica che, facendo gustare all’essere il frutto dell’Albero della Scienza del bene e del male, cioè alla conoscenza duale e distintiva delle cose contingenti, lo allontana dall’unità centrale originaria impedendogli di cogliere il frutto dell’ Albero della Vita; ed è appunto per questo, in effetti, che l’essere è sottoposto all’alternanza delle mutazioni cicliche, cioè alla nascita e alla morte. [..] L’essere che sia così giunto al punto centrale ha con ciò stesso realizzato la totalità della condizione umana: è l’ “uomo vero” (tch’eng-jen) del Taoismo, e quando, partendo da questo punto per salire agli stati superiori, egli avrà compiuto la perfetta totalizzazione delle sue possibilità, sarà divenuto l’ “uomo divino” (cheng-jen), ossia l’ “uomo universale” (el-Insan el-Kamil) dell’esoterismo musulmano. Si può dire quindi che i ‘ricchi’ dal punto di vista della manifestazione sono in verità i “poveri” rispetto al Principio, e viceversa; è ciò che esprime con altrettanta chiarezza il passo evangelico: “Gli ultimi saranno i primi, e i primi saranno gli ultimi” (Matteo, 20-16); e a tale riguardo dobbiamo constatare, una volta di più, il perfetto accordo di tutte le dottrine tradizionali, che sono soltanto le diverse esprressioni della Verità una.
1 Comments:
Renè Guenon è molto saggio.
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