Leviamo le tende, che è meglio
Il suicidio: che dire al riguardo?
Dalla nostra cultura è visto come un gesto quasi di offesa verso la comunità, dettato dall'irrazionalità più totale.
Vediamo un atto di suicidio come un atto folle in cui una persona ha "negato a se stessa il bene più grande che potesse avere, cioè la vita".
Esistono tuttavia altre culture in cui il suicidio si può mettere in atto per questioni d'onore, e di incompatibilità sociale.
Nell'oriente, fino ad un secolo fa, e presumibilmente tutt'ora, i generali delle parti nemiche, a battaglia persa, non si fanno fucilare da un plotone nemico, ma muoiono per mano propria; un po' ricalcando la figura occidentale del capitano di una nave che sceglie di affondare con essa.
Molte persone, nella nostra cultura, una volta persi i maggiori stimoli, vanno invece a rimpinguare le file strapopolate da coloro i quali vivono senza più alcuni spunti vitali, con la convinzione che "nella vita non è mai detto", non tutto è mai perduto", non c'è rimedio solo alla morte", ecc ecc.
Secondo il mio modesto parere la fascia di che abbraccia il numero di queste persone è grandissima, e va fenomenologicamente a sovrapporsi con la fascia di persone che, prive di un proprio stimolo spirituale, aderiscono a culti di massa.
Inoltre vi è un'altra grossa intersezione con l'insieme dei disonesti, in quanto chi non ha più stimoli spirituali non ne ha nemmeno di morali, quindi al di là dei pochi che sono stati imbottiti di precetti morali da piccoli, e li hanno accettati senza rielaborazione critica, è tutto un fuggire e rifuggire dei topi mentre la nave affonda.
Quindi la mancanza di stimoli e ragioni di vita, passa dall'essere una piaga individuale non risolta, ad una piaga sociale, in quanto sappiamo quanto allo sviluppo di una società siano dannosi i culti di massa e la disonestà diffusa.
Come si può eliminare questa piaga?
Il modo più radicale, spoglio di qualsiasi pregiudizio, potrebbe essere il suicidio...
Ma siccome vi vedo già che storcete il naso, allora propongo qualcos'altro: se non c'è stimolo individuale, o locale, dev'essere uno Stato a stimolare dei valori, degli obiettivi di progresso, la crescita culturale, ecc.
La condanna al suicidio è talmente infusa nella nostra società che anche il Sommo Poeta ne ha reso una fortissima immagine nel XIII canto dell'Inferno: fa parlare Pier delle Vigne, suicida, la cui anima è costretta in un albero; quando narra della ricongiunzione col corpo (tema fondamentale della Commedia) dice queste parole:
"[...] Come l'altre verrem per nostre spoglie,
ma non però ch'alcuna sen rivesta;
ché non è giusto aver ciò ch'om si toglie.
Qui le strascineremo, e per la mesta
selva saranno i corpi appesi,
ciascuno al prun de l'ombra sua molesta."
Se tuttavia Dante dipinge un quadro feroce al riguardo dei Suicidi, voglio con soddisfazione ricordare che tratta ancor peggio "coloro che visser sanza infamia e sanza lodo", ovvero gli Ignavi.
A voi la parola.
Dalla nostra cultura è visto come un gesto quasi di offesa verso la comunità, dettato dall'irrazionalità più totale.
Vediamo un atto di suicidio come un atto folle in cui una persona ha "negato a se stessa il bene più grande che potesse avere, cioè la vita".
Esistono tuttavia altre culture in cui il suicidio si può mettere in atto per questioni d'onore, e di incompatibilità sociale.
Nell'oriente, fino ad un secolo fa, e presumibilmente tutt'ora, i generali delle parti nemiche, a battaglia persa, non si fanno fucilare da un plotone nemico, ma muoiono per mano propria; un po' ricalcando la figura occidentale del capitano di una nave che sceglie di affondare con essa.
Molte persone, nella nostra cultura, una volta persi i maggiori stimoli, vanno invece a rimpinguare le file strapopolate da coloro i quali vivono senza più alcuni spunti vitali, con la convinzione che "nella vita non è mai detto", non tutto è mai perduto", non c'è rimedio solo alla morte", ecc ecc.
Secondo il mio modesto parere la fascia di che abbraccia il numero di queste persone è grandissima, e va fenomenologicamente a sovrapporsi con la fascia di persone che, prive di un proprio stimolo spirituale, aderiscono a culti di massa.
Inoltre vi è un'altra grossa intersezione con l'insieme dei disonesti, in quanto chi non ha più stimoli spirituali non ne ha nemmeno di morali, quindi al di là dei pochi che sono stati imbottiti di precetti morali da piccoli, e li hanno accettati senza rielaborazione critica, è tutto un fuggire e rifuggire dei topi mentre la nave affonda.
Quindi la mancanza di stimoli e ragioni di vita, passa dall'essere una piaga individuale non risolta, ad una piaga sociale, in quanto sappiamo quanto allo sviluppo di una società siano dannosi i culti di massa e la disonestà diffusa.
Come si può eliminare questa piaga?
Il modo più radicale, spoglio di qualsiasi pregiudizio, potrebbe essere il suicidio...
Ma siccome vi vedo già che storcete il naso, allora propongo qualcos'altro: se non c'è stimolo individuale, o locale, dev'essere uno Stato a stimolare dei valori, degli obiettivi di progresso, la crescita culturale, ecc.
La condanna al suicidio è talmente infusa nella nostra società che anche il Sommo Poeta ne ha reso una fortissima immagine nel XIII canto dell'Inferno: fa parlare Pier delle Vigne, suicida, la cui anima è costretta in un albero; quando narra della ricongiunzione col corpo (tema fondamentale della Commedia) dice queste parole:
"[...] Come l'altre verrem per nostre spoglie,
ma non però ch'alcuna sen rivesta;
ché non è giusto aver ciò ch'om si toglie.
Qui le strascineremo, e per la mesta
selva saranno i corpi appesi,
ciascuno al prun de l'ombra sua molesta."
Se tuttavia Dante dipinge un quadro feroce al riguardo dei Suicidi, voglio con soddisfazione ricordare che tratta ancor peggio "coloro che visser sanza infamia e sanza lodo", ovvero gli Ignavi.
A voi la parola.
9 Comments:
Nella società contemporanea occidentale, il gesto del suicidio è il prodotto di una molteplicità di fattori, prettamente mutevoli, da intendere come una combinazione di concetti razionali e pulsioni irrazionali; ontologicamente queste componenti sono soggette a divenire, e prive di fondamento certo. L'individuo medio occidentale proviene con molta probabilità da un'impostazione culturale laica e moralista, o quantomeno, se in parte spirituale o religiosa che sia, secolarizzata. L'allontamamento dal 'Principio Unificatore' porta ad una visione confusa e discriminante della realtà manifesta, e di conseguenza della vita stessa. Ciò può sfociare nel folle gesto di privarsi dell'esistenza corporale, assai in controtendenza con lo spirito 'spontaneo' dell'individuo umano.
Tutto ok, tranne il fatto del "folle" gesto, ed il fatto che il suicidio vada in controtendenza con lo spirito umano.
Semmai con lo spirito di conservazione, ma più che di spirito parlerei di istinto, di un qualcosa di animale e ancestrale.
Qualcosa di animale e quindi perfettamente umano, non trovi?
C'è differenza tra l'istinto di sopravvivenza e lo spirito umano. Non credo che il suicidio vada in controtendenza con lo spirito umano, anche se è la massima espressione di negazione dell'istinto di autoconservazione.
Anzi, penso che il suicidio sia una scelta molto lucida, almeno nella maggior parte dei casi.
Questo nella visione che ci regala la nostra cultura, ma in una visione più ampia non è così; addirittura è visto come un modo di "affrontare la vita".
"Spesso i doveri sono interpretati come missioni, acquisendo importanza.
Ciò che va evitato è che l'importanza della "missione" superi il nostro attaccamento alla vita."
Il fatto di dare importanza alla "missione" più della vita è semplicemente un fatto culturale.
La nostra cultura non supporta tale visione, ma altre culture la supportano; e sono culture filosoficamente forti, non sono culture "pazze".
Con questo non dico di essere contrario alla concezione egoistica della vita; sotto un certo punto di vista, questo approccio al suicidio può essere anche legato al fatto di dare troppa importanza alla vita, e ritenere che questa abbia uno scopo od un obiettivo imprescindibile fissato a doppio filo con essa.
scusate se mi intrometto nel vostro discorso, quello che scriverò non avrà molto senso e non pretendo di avere la verità assoluta nè di dare un'interpretazione universale... il suicidio in occidente è un atto di estremo egoismo! di persone che mettono al primo posto il proprio mal di vivere fregandosene altamente degli altri, non ha niente a che fare con la società con il "nn avere scopi, non avere niente da chiedere alla vita", il suicida in occidente non è un soldato in mani nemiche nè un capitano che affonda con la propria nave. Mi spiace dirlo ma questi discorsi sono pretamente teorici...
"Il suicidio in occidente è un atto di estremo egoismo!"
Infatti come diceva Spot, l'anonimo, la cultura, localmente parlando, è secolarizzata, quindi quello che dite voi va bene.
Io sto inquadrando il problema in una visione più ampia. Smettiamola di dire che una persona quando compie delle scelte personali deve sempre avere in mente gli altri, non è una tesi che sussiste.
Con questo non sto parlando dei casi particolari in cui padri di famiglia lasciano morire di fame i figli suicidandosi; quelli li ritengo casi patologici, e li escludo dal discorso.
In generale penso che l'atto del suicidio sia il culmine di una grande e lucida rielaborazione del dolore e della passione personale, cioè una scelta.
Se gli altri piangono questa scelta, non è molto diverso dal piangere una figlia che vuol diventare monaca di clausura, o da un figlio che vuol farsi prete ed andare in eremo.
Eh, ma allora siamo d'accordo.
Chi incontra il male di vivere, e si suicida per questo, non lo faccio rientrare nel mio campione; lo considero una persona che deve essere aiutata.
Forse questo post non riesce a portare a nulla senza entrare in un circolo vizioso.
Ma non mi va di abbandonare l'argomento: ora farò una cosa, ovvero pubblicherò un post di Spot, dopodiché voglio continuare con una tematica simile, ovvero quella del Kamikaze; non tarderà più di qualche giorno, quindi vi prego di rimanere sulle spine per un po'.
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